20 Aprile 2024
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obiettivo 54

Elaborazione di un Testo Unico sull'informazione e l'editoria
La libertà d’informazione non può essere disgiunta dal diritto del lettore alla correttezza dell’informazione.
La strada che, a più riprese, il legislatore tenta di percorrere per evitare che l’informazione sia distorta e veicolata con contenuti sostanzialmente non veri (fake news) è quella della censura e della punizione penale.
In realtà ciò che non si sa gestire, generalmente si vieta, e così l’incapacità di gestire una popolazione di utenti non in grado di distinguere una notizia vera da una notizia falsa, si tenta di risolverla nella censura e nella punizione.
Democrazia Atea non condivide né la censura né la punizione penale al di fuori delle norme già esistenti sulla diffamazione.
C’è una componente non trascurabile nell’analisi di questo fenomeno, che risiede nel livello di analfabetismo di ritorno da parte della popolazione italiana e nella incapacità di distinguere il vero dal falso.
Una popolazione allevata nella credenza e nell’irrazionalità è più incline a credere in modo acritico anche a ciò che viene veicolato come “vero” perché l’attitudine alla credenza dell’inverosimile fa parte delle sovrastrutture mentali della popolazione italiana, inibita fin dalle scuole materne a percorrere la razionalità.
In questo quadro si inseriscono, a cadenze cicliche, le proposte di legge volte a condannare chi fa circolare notizie infondate.
Quanto alle notizie infondate, ci si chiede quali soluzioni adottare, ci si chiede se l’ordinamento debba predisporre punizioni per tutti coloro che “diffondono” notizie false, o soltanto per coloro che le “fabbricano”, per tutti i giornalisti che ripropongono le informazioni false veicolate dai rappresentanti delle istituzioni, o solamente per qualche blogger buontempone.
Ferma la diffamazione per la quale la legge penale già c’è, resta il problema su come qualificare ad esempio una falsa dichiarazione, veicolata dalla stampa, proveniente da una carica istituzionale.
Prendiamo il caso della notizia infondata circa il possesso delle armi di distruzione di massa da parte di Saddam Hussein negli arsenali iracheni, indicata come vera da Tony Blair.
In questo caso si sarebbero dovuti perseguire i giornalisti che l’hanno diffusa o si sarebbe dovuto deferire Tony Blair ad una Corte internazionale per aver distrutto una nazione giustificando l’attacco militare con una menzogna?
Nessuno strumento sanzionatorio esiste per contrastare la portata di simili “fake news” e resta solo la condanna della storia per aver scatenato la guerra in Iraq con tutto quel che ne è seguito.
Se invece una notizia falsa viene propalata dal un blogger in cerca di visualizzazione, per i censori dovrebbe seguire una abnorme condanna penale.
Da più parti si invoca la regolamentazione dei blog e nel vuoto normativo i blog vengono equiparati alle testate giornalistiche pur senza averne né i requisiti né le tutele, come ad esempio l’insequestrabilità.
Occorre ridisegnare tutto il sistema generale dell’informazione, ma se si focalizza l’attenzione normativa su un solo settore, come i blog, e non si riconsidera l’articolo 21 della Costituzione in una visione più ampia che ridefinisca sia la testata giornalistica, sia la testata telematica, sia il prodotto editoriale, quali siano i requisiti formali perché un prodotto possa qualificarsi come professionale o amatoriale, è evidente che la reale volontà politica risieda nel mantenimento dello stallo perché è funzionale al potere manipolativo.
La legge sull’editoria (L.62/2001) è già obsoleta e comunque non esaustiva rispetto alle nuove realtà della comunicazione.
La lungimiranza con la quale fu elaborato l’articolo 21 della Costituzione, non merita la disattenzione del nostro Legislatore.

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