26 Aprile 2024
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obiettivo 39

La gestione dei rifiuti in Italia non è considerato dal punto di vista ambientale, ma purtroppo, come molte altre cose che riguardano l’ambiente, solo dal punto di vista economico e di potenzialità redditizia.

La criminalità organizzata ha preso in mano da anni queste attività, creando il fenomeno delle Ecomafie.

Non è un caso che il nostro paese abbia 33 procedure di infrazione aperte per il mancato recepimento di direttive europee sul tema ambientale.

La collusione tra politica e criminalità impedisce al nostro Paese di fare progressi in questo campo, mette a rischio la salute dei cittadini e dell’ambiente, e grava sui cittadini anche dal punto di vista economico a cause delle conseguenti sanzioni.

La direttiva 2008/98/CE è stata in realtà recepita con il DL 205/2010 ma il rapporto Rifiuti Urbani 2013 dell’ISPRA mostra un quadro sconfortante.

La percentuale di raccolta differenziata in Italia, analizzata nel suo complesso, ha raggiunto il 52,6%, poco al di sopra della percentuale obiettivo del 2007.

L’obiettivo 2012, che è del 65% è troppo lontano da raggiungere; a livello regionale solo Veneto e Trentino hanno raggiunto l’obiettivo 2011 del 60%, e a livello provinciale, solo 19 province italiane si sono adeguate a questo obiettivo.

L’analisi di questo documento potrebbe occupare pagine e pagine, ma il risultato è che l’Italia deve rivedere e aggiornare tutto il sistema di gestione, adeguandosi e anche proponendo soluzioni alternative rispetto alla legislazione europea.

Il primo caposaldo deve essere, invece della parola riciclaggio, la parola riduzione.

La parola riciclaggio ci autorizza a produrre tonnellate di rifiuti nell’utopia che possano essere riciclati, e ci deresponsabilizza.

Dobbiamo produrre meno rifiuti, cambiando le modalità di produzione e distribuzione, riducendo al minimo gli imballaggi superflui, e anche trovando nuove modalità igienicamente compatibili che permettano utilizzo di materiali non plastici.

Il secondo caposaldo deve essere: no alla plastica.

La plastica non è riciclabile, può essere riutilizzata ma prima o poi diventa un rifiuto da smaltire, la cui combustione, se non effettuata sotto un controllo competente, può produrre materiale tossico.

Il terzo caposaldo: chi produce rifiuti paga per lo smaltimento.

I cittadini non possono pagare un prodotto ad un prezzo che comprende anche il suo imballaggio o contenitore, e poi dover pagare anche per lo smaltimento dello stesso.

Questo autorizza le industrie a non curarsi della quantità di rifiuti che producono.

Sarebbe auspicabile, per alcuni prodotti, il vecchio vuoto a rendere, che permetteva un riciclo vero e continuo, senza creare inutili intermediari che si occupano del riciclaggio.

Il quarto caposaldo: responsabilizzare.

I cittadini devono essere informati e responsabilizzati sulla quantità di rifiuti che producono e sui metodi alternativi.

Sapere che tutto ciò che esce da casa finisce in una discarica in qualche lontano luogo ci fa disinteressare, almeno fino a quando, come è successo, il lontano luogo diventa un luogo vicino casa nostra.

Il quinto caposaldo: i rifiuti devono essere gestiti creando un reddito alla comunità interessata.

L’esempio del Comune di Peccioli è un buon esempio di come lo smaltimento dei rifiuti possa rappresentare un modo di trovare risorse per la comunità.

In generale questo metodo andrebbe applicato ove possibile, senza mai anteporre alla salute dei cittadini e dell’ambiente, il parametro della redditività.
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