La destra fascista italiana, vuota di contenuti e di riferimenti intellettuali come una zucca marcia, ha sempre usato simboli, slogan, frasi, autori, icone culturali che erano di indiscussa matrice antifascista. Questa è una pratica studiata in sociologia politica come “appropriazione simbolica” oppure “reframing ideologico”. Il caso più famoso riguarda la rivista fondata da Antonio Gramsci nel 1919, “Ordine Nuovo”, che è diventato un caso emblematico di riuso simbolico. Ordine Nuovo era una rivista che si ispirava al pensiero socialista e rivoluzionario di Gramsci, esplicitamente comunista e antifascista. Di questo nome si appropriò Pino Rauti quando nel 1956 fondò una organizzazione neofascista extraparlamentare, di ispirazione neonazista, sciolta più volte dallo Stato come organizzazione eversiva. In questa vicenda il capovolgimento dei significati è stato totale. Ora la destra neofascista ci riprova con Pier Paolo Pasolini, intellettuale antifascista, più volte aggredito dai fascisti, emarginato dai fascisti del PCI. In una operazione politicamente squallida vogliono “appropriarsi” simbolicamente di Pier Paolo Pasolini, vogliono reinterpretare il materiale antifascista, vogliono estrapolarlo dal contesto, per trasformarlo in un loro simbolo. È il solito capovolgimento dei significati, i neofascisti lo fanno da sempre, attribuiscono significati rovesciati, riprendono linguaggi di rottura e li sovrappongono a linguaggi identitari. Queste operazioni generalmente funzionano quando si usano nomi con un forte potere evocativo, già riconosciuto nella cultura politica italiana, e le provocazioni e le iperbole letterarie, decontestualizzate, rendono più facile l’operazione di reintepretazione in senso opposto. Resta una operazione vigliacca, come tutto ciò che proviene dal neofascismo revisionista.