Una chat privata di persone che hanno scritto pagine importanti dell’attivismo sociale e politico, è stata resa pubblica per colpirle e per screditarle. Non è solo un’aggressione personale: è un segnale pericoloso, un monito a chiunque osi parlare liberamente anche lontano dai riflettori. La libertà di espressione non è un privilegio riservato alle piazze o ai microfoni. È un diritto che vale anche nei luoghi della fiducia, nei canali dove ci si confronta senza paura, dove si discute, perché è nei dialoghi privati che le persone elaborano idee, si confrontano, si mettono in discussione senza la paura del giudizio collettivo. Violando quella soglia, si mette in discussione l’essenza stessa della libertà: la possibilità di costruire pensiero collettivo senza il terrore della gogna. Siamo di fronte a un meccanismo noto: estrarre frasi da contesti privati per distruggere figure scomode, per minare la credibilità. Quelle chat sono state acquisite nell’ambito di un procedimento penale e solo una parte delle stesse sono state scrutinate per verificare se ci siano o meno gli estremi della diffamazione verso alcuni soggetti, ma deve essere la magistratura a stabilire se il confine tra diritto di critica e diffamazione sia stato o meno travalicato. Tuttavia la restante parte delle chat non avevano attinenza con il processo penale, e ciononostante quelle conversazioni sono state diffuse con la precisa finalità di screditare. È una strategia di potere che mira a trasformare le contraddizioni umane in armi di discredito politico. Quando una chat privata viene resa pubblica si attiva la macchina del linciaggio mediatico, che colpisce più l’immagine che i fatti. Difendere la libertà di parola nei contesti privati significa difendere la possibilità stessa di fare politica. Significa riconoscere che la militanza non è fatta di purezza, ma di confronto, di conflitto, di parola viva, e anche di contraddizioni che solo all’intero del confronto privato possono essere superate. Significa dimenticare che l’essere umano comunica anche in modo imperfetto, impulsivo, contraddittorio, ed è proprio da queste contraddizioni che nasce la crescita personale e politica. Il punto centrale è che l’integrità morale e intellettuale di una persona non può essere misurata solo dall’assenza di contraddizioni tra ciò che dice in privato e ciò che afferma in pubblico. Tutti, nella dimensione privata, esprimono pensieri più grezzi, dubbi, o perfino incoerenze che fanno parte del normale processo umano di riflessione. Al tempo stesso, chi giudica gli altri per qualche parola o atteggiamento privato, difficilmente sarebbe disposto a sottoporsi allo stesso livello di trasparenza, e non per ipocrisia, ma perché riconosce intuitivamente che la privacy è lo spazio in cui l’essere umano può pensare, sbagliare e cambiare idea senza essere giudicato. Non c’è libertà pubblica senza spazi privati, ed è qui che si pone un problema grave, ovvero fino a che punto si può essere liberi anche di essere in contraddizione, fino a che punto il privato è tutelato. Trasformare una conversazione privata in uno strumento di gogna pubblica significa confondere la sfera dell’opinione con quella della morale, ed è esattamente ciò che accade nei totalitarismi.