Pandemia e pro vita

23-04-2020 11:16 -

Pandemia, sostantivo femminile, e la diffusione di Covid19 ce lo sta dimostrando in tutta la sua crudele capacità di amplificare le disparità in ogni ambito e luogo, di esasperare le criticità, mettendole a nudo.
Simone de Beauvoir diceva “Non dimenticate mai che sarà sufficiente una crisi politica, economica o religiosa perché i diritti delle donne siano rimessi in discussione.
Questi diritti non sono mai acquisiti. Dovrete restare vigili durante tutto il corso della vostra vita". Ed è proprio quanto sta accadendo in questi duri interminabili tempi di quarantena.
Emerge dai dati forniti dai centri antiviolenza che il prezzo della convivenza forzata delle donne con il partner maltrattante è altissimo, così come alto è il prezzo che le donne pagano e pagheranno in termini di scelte lavorative in una società caratterizzata da modelli di genere rigidi e da una divisione asimmetrica del salario, in una società che si avvia alla rapida diffusione dello smart working nelle peggiori delle condizioni possibili.
Non stupisce, dunque, che in una società a connotazione fortemente patriarcale e antifemminista come la nostra, durante la pandemia si attivi la propaganda della onlus Provita, la onlus che si batte per la difesa della «famiglia tradizionale» e che si presenta come apartitica e apolitica, nonostante il ruolo di portavoce di Alessandro Fiore, figlio maggiore del fascista Roberto, leader di FN e, secondo quanto riportato da L'Espresso in un articolo del 20 dicembre 2017, condannato per banda armata e associazione sovversiva come capo di Terza posizione, organizzazione che alla fine degli anni Settanta ha riunito alcuni dei criminali più violenti della destra eversiva.
Colpevole in tutti i gradi di giudizio, Roberto Fiore avrebbe dovuto scontare almeno cinque anni e mezzo di reclusione, ma è fuggito all'estero per rientrare in Italia solo dopo la prescrizione e sufficientemente ricco da porsi alla guida di Forza Nuova, movimento politico neofascista e razzista. «Tra Pro Vita e Forza Nuova non vi sono rapporti, vi è solamente uno storico rapporto di amicizia tra me e Roberto Fiore», minimizza il presidente di Pro Vita Toni Brandi, abile tessitore di rapporti tra le varie anime “pro-life” di Europa occidentale e orientale attorno a cui gravita la galassia neofascista europea.
L'onlus Provita, dunque, ha organizzato una campagna durante la pandemia attuale per andare all'attacco ancora una volta della legge 194/78, raccogliendo firme per una petizione le cui motivazioni non lasciano spazio a dubbi. Si legge, infatti, “In ragione della pandemia da Coronavirus e della crisi che ne è seguita a livello economico e sanitario, molte Regioni e gli ospedali in tutta Italia hanno rinviato le operazioni chirurgiche non strettamente indispensabili e le attività ambulatoriali non urgenti in modo da liberare risorse e spazio per affrontare l'emergenza.
Tuttavia, in una situazione di emergenza nazionale e internazionale nella quale gli interventi chirurgici - talvolta - vengono effettuati solo per i pazienti in pericolo imminente di vita, invece si continua imperterriti a sopprimere i bambini nel grembo materno e a considerare la pratica abortiva come se fosse un servizio essenziale, indifferibile e urgente. Inoltre, così facendo si sottraggono ulteriori risorse umane ed economiche che potrebbero essere usate per far fronte al coronavirus. Firma ora questa petizione, compilando il modulo, per chiedere al Ministero della Salute e ai presidenti di Regione che l'interruzione volontaria di gravidanza non sia considerata un intervento indispensabile o urgente, e che pertanto siano interrotte le operazioni abortive, sia quelle chirurgiche che quelle farmacologiche (RU 486)...”
Eppure nel nostro paese le interruzioni volontarie di gravidanza sono addirittura calate. Secondo i dati Istat nel 2018 le donne che hanno interrotto volontariamente una gravidanza sono state 76.044, con un tasso di abortività pari a 5.82 per 1000 donne di età compresa fra i 15 e i 49 anni.
Nel 2016 il numero di Ivg ammontava a 84.926 casi: c'è stata dunque nel biennio una riduzione del 10,5%. Entrambi i dati, numero assoluto e tasso di abortività, sono in diminuzione (o al più stazionari) sin dalla metà degli anni '80, ossia dopo un breve periodo di assestamento dall'entrata in vigore della legge 194 del 1978.
In questi grafici sono riportati dati, forniti dal ministero della sanità, relativi alla percentuale di interruzione volontaria di gravidanza in donne che hanno avuto già precedenti aborti e un confronto tra donne italiane donne straniere in relazione sempre all'interruzione volontaria di gravidanza.





Si evince chiaramente che la strage di vite umane, l'uccisione di “bambini nel grembo materno” non è in atto.
L'interruzione volontaria di gravidanza è una legittima scelta, regolamentata da norme giuridiche che tutelano la salute della donna ed è una scelta che non prevede possibili rinvii.
La legge 194/78, che ha depenalizzato e disciplinato le modalità di accesso all'aborto, nata per garantire a ogni donna il diritto alla scelta in un contesto in cui l'aborto clandestino causava morte, è, nei fatti, una legge che tutela la genitorialità, che dopo oltre quarant'anni incontra ancora troppi ostacoli e che andrebbe sicuramente migliorata, ma non sospesa neanche in caso di pandemia.
Anzi, sono proprio le attuali condizioni di emergenza sanitaria che dovrebbero spingere per la possibilità di ricorrere all'aborto farmacologico anche per ridurre il rischio contagio da ospedalizzazione.
Invece in diversi ospedali soprattutto del Nord Italia molti letti sono stati destinati a persone ammalate di Coronavirus, sottraendoli a chi avrebbe necessità di abortire.
In alcuni ospedali i già pochi anestesisti non obiettori sono stati destinati alle terapie intensive, riducendo ulteriormente le possibilità di abortire. A ciò si aggiunge la difficoltà a spostarsi fuori dal comune di residenza a causa delle ordinanze per il contenimento dei contagi.
L'Istat stima a circa 10.000-13.000 aborti clandestini in Italia per gli anni 2014-2016.
Non sappiamo quali conseguenze avrà l'emergenza coronavirus sull'accesso all'aborto legale e sulle pratiche di aborto clandestino.
Considerare l'interruzione di gravidanza come un servizio NON essenziale durante la pandemia, come propongono i Pro Vita nella loro petizione, è assurdo oltre che ipocrita.
Non è tutela di vita, ma solo tentativo di tornare indietro sulla strada dei diritti. Ed è ipocrita proprio in riferimento al senso della vita.
Quale credibilità può avere chi si oppone e contrasta il diritto alla scelta di interrompere una gravidanza in nome di una potenziale vita se, in un paese che spende circa 100 milioni di euro per spese militari, per l'acquisto di armi e dispositivi per uccidere vite, non conduce una lotta politica con pari impegno per la difesa delle vite già vive?
Quale credibilità può avere chi si oppone all'applicazione della legge 194/78, all'aborto farmacologico, in un paese che ha stipulato patti con i macellai libici, fingendo di non accorgersi delle centinaia di vite lasciate morire in mare o nei lager libici, se non conduce una lotta politica con pari impegno per la difese di queste vite?
È chiaro che l'impegno dei Pro Vita non è finalizzato alla difesa della vita, ma ha come unico obiettivo la negazione di ogni forma di autodeterminazione delle donne, il mantenimento di marcate asimmetrie di potere tra i due generi e il consolidamento della società patriarcale di fronte alla minaccia per l'organizzazione sociale rappresentata dall'emancipazione femminile da ruoli di subalternità al maschio alfa.
Antonia Romano
Demoatea e Coordinatrice nazionale di Potere al Popolo